Qualcuno di voi lo sa, qualcun altro no: mercoledì scorso ho avuto un infarto. Non fortissimo, per fortuna, ma sono rimasto in ospedale di Treviso fino a oggi pomeriggio. Un piccolo infarto, che però ha permesso ai medici di scoprire altri problemi alle coronarie (ho avuto anche un intervento di angioplastica alla coronaria anteriore) e mi obbligherà a cambiare un po' stile di vita e a ridurre lo stress sul lavoro: non dovrò rinunciare a tutti i costi alla qualifica di caposervizio al Gazzettino, dovrò semplicemente verificare se posso esercitarla con uno stress inferiore a quello realmente eccessivo di questi ultimi sei mesi. Io credo di poterlo fare, ma non sono l'unico che può creare le condizioni perché questo avvenga.
Per adesso mi godo il ritorno a casa: mia moglie Anna, la mia gatta Miła, i miei genitori, mio fratello, mia suocera; oltre ai medici, agli infermieri e agli inservienti, vorrei ringraziare - non lo scrivo perché si usa, credetemi, lo capirete fra qualche riga - tutti gli amici e conoscenti che sono venuti a trovarmi; quelli che hanno scritto mail, sms, post sui blog, messaggi su Twitter, su Facebook, su Flickr o chissà dove altro; quelli che che non hanno scritto e hanno semplicemente pensato alla mia salute. Tutti quelli che mi hanno dedicato anche soltanto pochi secondi della loro vita e che mi hanno dato forza. Perché la cosa che mi ha emozionato in un modo inimmaginabile, nei cinque giorni in cui sono rimasto lì, quella che ha rischiato di abbattermi psicologicamente, è che sono passato in quasi tutti i reparti nei quali avevano portato Andrea poco più di un anno fa. Io ero lì anche allora, ad aspettare buone notizie che non sono mai arrivate. Oggi ho rivisto l'ingiustizia della vita e della morte.
E questa deve essere una lezione. Per me prima di tutto.
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