Non mi interessa come andrà a finire l'inchiesta per corruzione in atti giudiziari e concorso in falsa testimonianza contro Silvio Berlusconi, di cui ha parlato per primo il Corriere della Sera il 29 dicembre. Sapere se Berlusconi abbia dato ordine di versare almeno 600mila dollari sul conto dell'avvocato inglese David Mills, perché - come testimone - non dicesse tutto quello che sapeva al processo sulle tangenti Fininvest alla Guardia di finanza e a quello sul caso All Iberian, è cosa che riguarderà i destini giudiziari del Presidente del Consiglio, ma non questo blog.
Qui ci interessa soltanto quello che, il giorno della pubblicazione del primo articolo, ha detto all'Ansa Niccolò Ghedini, che oltre a essere deputato di Forza Italia è anche avvocato di Silvio Berlusconi: «I giornalisti hanno gli stessi doveri dei cittadini. Ed il primo dovere è rispettare la legge che vieta, sanzionandola, la pubblicazione di atti processuali e ciò vale nei confronti del Presidente del Consiglio così come per chiunque altro»
Secondo Ghedini, quindi, Luigi Ferrarella, l'autore dell'articolo, ha violato l'articolo 684 del codice penale: "Chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto fino a trenta giorni o con l’ammenda da cinquantuno euro a duecentocinquantotto euro."
Pochi, immagino, abbiano dubbi sul fatto che Ferrarella abbia commesso un reato. Credo che la violazione del 684 sia data per scontata quasi da tutti, tanto giornalisti e avvocati sanno che si tratta di una contravvenzione che si può oblare con 129 euro (la metà del massimo). Eppure io qualche dubbio ce l'avrei. Nel 684 si parla di "atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione". Andiamo allora a vedere l'articolo 114 del codice di procedura penale, quello che stabilisce il divieto di pubblicazione di atti: l'articolo elenca una serie di divieti, però all'ultimo comma, il settimo, afferma: "È sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto." Quali sono gli atti coperti dal segreto? Restiamo nel codice di procedura penale e spostiamoci al primo comma dell'articolo 329: "Gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari."
L'invito a presentarsi, notificato all'avvocato di Berlusconi, è sicuramente un atto del quale l'imputato (il termine è usato nel codice in modo a mio giudizio improprio, ma attendo chiarimenti dagli esperti) può aver conoscenza, per cui non è più un atto coperto coperto da segreto nel momento in cui arriva nello studio legale. Risalendo all'articolo 114, la pubblicazione del contenuto di quell'atto è pertanto consentita e non può comportare alcuna sanzione penale.
Il ragionamento mi pare fili liscio: il contenuto dell'invito a Berlusconi a presentarsi per l'interrogatorio poteva tranquillamente essere pubblicato. Ghedini, sulla cui preparazione giuridica credo nessuno possa obiettare, nella sua dichiarazione all'Ansa afferma però una cosa che sembra contraddica ciò che ho appena detto: «Il Corriere della Sera ha pubblicato stralci di un atto la cui pubblicazione è pacificamente vietata». L'avvocato ha ragione, la pubblicazione dell'atto in sè è «pacificamente vietata»; si tratta tuttavia di vedere se il Corriere della Sera ha pubblicato l'atto o ha pubblicato il contenuto dell'atto.
Il fatto che la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale sia oblabile con 250mila lire di un tempo ha sempre indotto avvocati e giornalisti a non approfondire molto l'argomento, tanto che non esiste una giurisprudenza copiosa sull'articolo 684 del codice penale. Sono convinto però che, se fosse aperto un procedimento penale contro di lui e se avesse voglia di stabilire un altro precedente (io ne ho uno di alcuni anni fa: assolto a Venezia per un fatto analogo), Ferrarella potrebbe difendersi: lui non ha pubblicato l'atto (che sarebbe vietato), ha pubblicato stralci dell'atto, riassumendo il resto. Ossia ha pubblicato quello che può rientrare in una comune definizione di "contenuto" dell'atto. E il contenuto era "pacificamente pubblicabile", per parafrasare, senza ironia alcuna, l'espressione usata da Ghedini.
So benissimo che la mia è un'interpretazione che corre sul filo, ma non la trovo viziata. Semmai dà un'interpretazione della parola "contenuto" che può essere più o meno condivisa, ma credo che sia uno dei casi in cui vale il detto "quot capita tot sententiae".
Direi che l'art. 114 cpp al primo comma chiarisce la regola generale secondo cui la vietata pubblicazione degli atti non avviene solamente nel caso di pubblicazione integrale del supporto cartaceo che li racchiude, ma anche attraverso una parte di essi o del '...loro contenuto'.
Affichè l'ultimo inciso abbia senso, e non sia una mera ed inutile ripetizione dei concetti precedenti, è elementare che debba riferirsi alla pubblicazione di quanto dice l'atto senza pubblicare il suo supporto cartaceo (o visivo, o audio...).
Dunque pubblicare il quanto-dice-l'atto senza il supporto che ne conferisce la percepibilità è quanto consente, a un certo punto del procedimento penale, in deroga al principio generale e rispettando certe condizioni, esattamente riassunte da Carlo Felice, l'art. 114 ultimo comma del cpp (e ad ulteriori e più articolate condizioni possono comunque essere pubblicati anche gli atti).
La pubblicazione in alcuni casi può dunque anche essere una questione di virgolette "..." che contribuisce alla differenza tra atto e suo contenuto.
C'è da chiedersi piuttosto il senso pratico di tutta questa distinzione, e quale sia la differenza in termini di effetti tra pubblicare l'atto e pubblicarne, oltretutto in maniera fedele (altrimenti si rischia la diffamazione), il suo contenuto.
Il Legislatore aveva spiegato tale soluzione col bisogno di contemperare due esigenze. Da un lato occorre che il giudice, che conosce gli atti nel momento 'processuale' e quindi (salvo incidente probatorio) nel dibattimento, non sia influenzato da anticipazioni di stampa sul contenuto di atti resi nella precedente fase 'procedimentale' delle indagini preliminari, atti che egli non conosce e non può conoscere se non rivelati nel 'processo' secondo le norme che lo regolano; dall'altro che sia garantita la libertà di stampa, a cui non può essere impedito di riferire su notizie rilevanti per l'opinione pubblica (e per il 'controllo sociale'), sì da determinare che il divieto di pubblicazione progressivamente, e in relazione allo volgersi del procedimento, venga meno (vedasi Relazione al progetto preliminare del Cod. di proced. pen, sub art. 113).
Ecco la soluzione, dunque, cioè quella di rendere a un certo punto, e anche prima del 'processo', pubblicabile il solo contenuto degli atti, non (ancora) gli atti, anche perchè il giudice "...se può essere influenzato dalla pubblicazione degli atti veri e propri, è in grado di non fondare il proprio convincimento su notizie di stampa più o meno generiche e priva di riscontri documentali riguardanti il contenuto di atti...".
A rileggere questa parole, che essendo contenute nella Relazione del nostro attuale c.p.p. devono necessariamente assumere consistente valore interpretativo, verrà da sorridere, perchè potrebbe sembrare che il Legislatore voglia trattare i giudici come bambinetti non molto svegli, influenzabili se vedono in anticipo l'atto, non influenzabili se ne leggono, perche magari edito da importantissimo quotidiano, a cura di quotatissimo giornalista, il solo contenuto.
Potrebbe anche sembrare ingenuto il Legislatore, il quale pensava che non potendo pubblicare l'atto, la notizia sul suo contenuto sarebbe stata generica e magari non circostanziata.
Invece, a mio parere, la questione non era di facile soluzione, essendovi troppi principi da rispettare: rispetto verso l'indagato e le persone offese; tutela della autonomia del giudice; diritto dell'informazione; buona andamento dell'amminsitrazione della giustizia...
Se gli atti divenissero per legge integralmente pubblicabili, da subito, se acquisiti dalla stampa, cosa che qualcuno riterrebbe oramai logica dato che comunque si legge integralmente il loro contenuto, vi sarebbe la corsa al procacciamento selvaggio - e con tutti i mezzi - degli atti medesimi, con intuibili risvolti e coinvolgimenti vari che i giornalisti di giudiziaria possono certamente meglio di me intuire.
Quindi, seppur consapevolmente dal medesimo giustificata in maniera poco plausibile, la scelta del Legislatore appare, in perfetto stile italico, come tutto sommato adeguata per accontentare tutti.
Altre soluzioni, a ben rifelttere, comportano sempre rischi di imbarbarimento dell'azione di procacciamento della notizia, oppure aumento dell'attività di censura attraverso divieti e sanzioni.
Se poi qualcuno ha la soluzione perfetta...
Posted by: mauro | January 03, 2006 at 11:32 AM
Come al solito il commento è di grande puntualità e precisione, oserei dire "saggezza" se non temessi di cadere nell'adulazione. Il richiamo al primo comma dell'articolo 114 è poi la necessaria integrazione di ciò che avevo scritto.
Da giornalista ho soltanto una perplessità, su una delle frasi finali del tuo discorso: "Se gli atti divenissero per legge integralmente pubblicabili, da subito, se acquisiti dalla stampa, cosa che qualcuno riterrebbe oramai logica dato che comunque si legge integralmente il loro contenuto, vi sarebbe la corsa al procacciamento selvaggio".
Come fai notare anche tu, la corsa al procacciamento selvaggio è in corso da tempo ed è favorita dalla sanzione bassissima (l'oblazione a 129 euro) prevista per la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale. E sicuramente per un giornale le intercettazioni telefoniche di Fiorani o di Consorte o l'invito a presentarsi a Berlusconi valgono molto più di 129 euro, tanto per essere prosaici ma concreti. Non credo quindi che permettere la pubblicazione anche dell'atto, oltre che del contenuto, peggiorerebbe la situazione attuale. Ci sarà, a questo punto (è già successo, ma è ancora a livello di progetto), chi proporrà l'inasprimento delle sanzioni. Non so se sia la soluzione giusta e non lo dico da giornalista, bensì da cittadino, basandomi su quel principio del "controllo sociale" di cui parli anche tu.
Un controllo deontologico maggiore, da parte dell'Ordine o di altri enti o associazioni deputate, con sanzioni per chi pubblica materiale che nulla ha a che vedere con un qualsiasi interesse sociale, potrebbe essere una soluzione migliore. Ma è soltanto un'idea, tutta da approfondire.
Posted by: Carlo Felice | January 03, 2006 at 01:19 PM
sto cercando un modo per far giungere al premier la notizia circa una mia conoscenza profonda di fatti al riguardo suo e dei suoi movimenti finanziari nonchè il mio numero di conto corrente...
Posted by: luigi | February 03, 2006 at 01:11 PM
Lo Studio Legale Canonico Leo - Di Benedetto aiuterà coloro che vogliono divorziare, separarsi consensualmente o condividere un affidamento
Posted by: darkman | June 27, 2008 at 09:42 PM