A proposito della querelle sulla pubblicazione dell'intercettazione telefonica della conversazione fra Silvio Berlusconi e Agostino Saccà, leggo l'articolo dell'avvocato Antonello Tomanelli su "Difesa dell'informazione". Si intitola "Lecita la pubblicazione delle intercettazioni tra Saccà e Berlusconi" e fa un po' di confusione.
Procederò per punti. Rapidamente, cercando di non annoiarvi.
1. Quei sette minuti di conversazione sono un esempio di certi perversi rapporti fra informazione e potere. Rapporti che secondo me (vado a naso) sono purtroppo più frequenti di quanto si creda.
2. A prescindere da ogni altra considerazione, Saccà dovrà scontare la giusta pena per la sua mala gestio.
3. La registrazione va conservata e fatta ascoltare come esempio negativo a tutti coloro che vogliono diventare giornalisti o dirigenti di società editoriali.
4. Non riesco a capire perché ben pochi si occupino del senatore del centrosinistra che si sarebbe venduto in cambio dell'assunzione di un'attrice.
5. La pubblicazione di quell'intercettazione non era lecita. L'avvocato Tomanelli sostiene che non vi è alcuna violazione del diritto alla privacy e lascio ad altri più esperti di me le sue argomentazioni, io sostengo soltanto che questo non significa che quella conversazione fosse pubblicabile, almeno stando all'attuale codice di procedura penale (cosa diversa è che sia moralmente giusto che sia stata pubblicata).
Breve spiegazione dell'ultimo punto.
Il secondo comma dell'articolo 114 del codice di procedura penale afferma: "È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti dal segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare". E questo è il caso: siamo prima dell'udienza preliminare ed è stato pubblicato un atto del procedimento penale, anche se non più coperto da segreto (per questo si veda l'articolo 329 del codice di procedura penale, non mi dilungherò oltre). Comunque chi ha pubblicato quell'intercettazione sul sito dell'Espresso rischia ben poco: al massimo un'ammenda di 258 euro e 23 centesimi.
Lascia che sottolinei un dettaglio. E' l'editore a dover pagare i 258 euro e 23 centesimi e non più il giornalista.
Questa sostanziale modifica venne apportata dal governo Berlusconi, permettendo de facto ai giornalisti che hanno un editore ricco, come Berlusconi, maggiore ...ehm... libertà.
Come si dice? Chi è causa del suo mal ...
Il fatto costituiva notizia, anzi, è stato proprio uno scoop, e l'argomento era rilevante, considerando che Saccà è un dipendente pubblico.
La telefonata non aveva carattere privato: non stavano corrispondendosi amorosi sensi, stavano cercando di attuare una crisi di governo usando illecitamente la RAI.
Concordo con il presidente dell'ordine: era doveroso dare la notizia.
Anche io sarei curioso di sapere chi era il senatore 'cabriolet'.
Posted by: anonimo italiano | December 27, 2007 at 09:47 PM